Economia e diritto nel mondo romano

Un’intervista al prof. Lorenzo Franchini, Docente di Diritto Romano, Università Europea di Roma.

  1. Dal punto di vista dello sviluppo economico quali sono le principali fasi che caratterizzano la lunga storia della civiltà romana?  
A mio avviso, si può anzitutto distinguere un’età arcaica (VIII – metà III secolo a.C.), nella quale Roma si caratterizza per un’economia a carattere prevalentemente agro-pastorale, spesso a gestione familiare, da un’età successiva, tardo-repubblicana ed imperiale (metà III secolo a.C. – metà III secolo d.C.), nella quale potente si fa la diffusione dei commerci, anche marittimi, in un contesto di apprezzabile floridezza economica, in pressoché tutte le parti dell’immenso impero, ben collegato tramite un efficiente sistema viario.  Da metà III secolo d.C. in poi, nell’impero, presto diviso in due parti, diventano di difficile risoluzione problemi che assomigliano a quelli di epoche successive: inflazione, innalzamento dei prezzi, burocrazia esosa, formazione di grandi fondi terrieri spesso improduttivi, accanto, di contro, a fenomeni che persino preludono a certi assetti economici di tipo medievale (economia c.d. curtense e colonato).
  1. Quali sono le correnti di pensiero che maggiormente influenzarono la visione della vita economica nel mondo romano prima e dopo l’avvento dell’impero?
La cultura romana è assai poco incline alle teorizzazioni, alle elaborazioni astratte di pensiero.  Del resto, anche nel mondo greco, pur molto più incline a tutto ciò, in campo economico manca una trattatistica specializzata, frutto invece della riflessione moderna. Per l’età romana più risalente sono semmai da segnalare operette dedicate all’agricoltura, di cui una scritta dal famoso Catone il Censore. Nelle successive fasi dell’esperienza romana si può dire che correnti di tipo umanitario, ispirate dallo stoicismo prima e dal cristianesimo poi, abbiano in qualche modo inciso sul trattamento degli schiavi, con ovvie conseguenze in ambito economico, visto che la manodopera era allora quasi tutta servile. 
  1. L’economia schiavile è uno dei tratti più significativi dell’economia romana a partire dal II secolo a.C. Rispetto ad altri modelli coevi, quali furono i punti di forza e di debolezza?
In effetti è a partire dal III-II secolo, ossia da quando con le grandi conquiste mediterranee enormi masse di prigionieri vengono acquistati come schiavi, che l’economia romana si connota come servile, su larga scala. In precedenza, gli schiavi vivevano in famiglia, tanto da essere trattati non troppo diversamente dai sottoposti liberi (c.d. filii familias). In seguito, nel tardo impero, l’importanza della schiavitù diminuì, perché Roma non faceva più guerre di conquista e perché i coloni, liberi vincolati alla terra, presero sovente il posto degli schiavi. Sul fenomeno, comunque, incise anche il fatto che un istituto per noi ripugnante stava in ogni caso diventando, come si è detto, anche allora, meno eticamente e culturalmente ‘popolare’. Ad ogni modo, se si vuol parlare, anche in quest’ambito, di punti di ‘forza’, direi che gli schiavi, se liberati, si integravano a Roma meglio che altrove, perché acquistavano automaticamente anche la cittadinanza romana (c.d. liberti). Quanto ai punti di debolezza, c’è da dire che nell’Impero romano essi erano talmente numerosi che, se le autorità ne perdevano il controllo, potevano scatenarsi vere e proprie guerre servili (come quella del leggendario Spartaco), o comunque disordini diffusi: con quali contraccolpi sull’economia, lo si può immaginare. 
  1. Come era normato il ruolo della donna nella vita economica? Ci fu una qualche evoluzione?
La condizione femminile era relativamente buona, nell’antica Roma, rispetto a quella per es. delle città greche o di altre civiltà antiche. La donna, finché era vivo il pater familias, era una sua sottoposta come i collaterali maschi, ed egli poteva avvalersi di lei come sua longa manus nei traffici negoziali e commerciali. Anche alla morte del pater, la donna, al pari dei maschi, acquistava la titolarità di una parte del patrimonio e, col passar del tempo, lo poté gestire sempre più liberamente. Scarse erano infatti le limitazioni della capacità giuridica, e anche riguardo alla c.d. capacità d’agire la donna, già al tempo dell’impero, poté sostanzialmente sbarazzarsi del tutore che in precedenza la doveva affiancare in tutte le trattative di affari. Certo, tutto ciò in un quadro in cui, sul piano etico-sociale più che giuridico, alla donna non si riconosceva ovviamente un ruolo del tutto paritario rispetto all’uomo, in campo economico.
  1. Dal punto di vista delle istituzioni economiche, commerciali e finanziarie quali furono le principali innovazioni apportate in epoca romana?
Non so se si possa parlare di istituzioni strutturate in un modo paragonabile a quello odierno. In ogni caso sottolineerei, per l’età repubblicana, la creazione, nel 242 a.C., del tribunale del praetor peregrinus, che esercitava la giurisdizione nelle cause con almeno una parte straniera (quasi tutte in materia commerciale), ed il consolidamento, intorno al II-I secolo a.C., di un efficiente sistema di società di lucro, di cui le più importanti erano quelle publicanorum, addette alla riscossione delle imposte nelle province. Nella prima età imperiale operano anche altre società, patrimoniali e commerciali, tra cui quelle per la compravendita degli schiavi su larga, scala. Tutto ciò, in un contesto di indubbia libertà di mercato. É invece col tardo impero che l’intervento dello Stato nell’economia si fa consistente: si formano corporazioni di arti e mestieri, l’iscrizione nelle quali era obbligatoria ed ereditaria; si cerca di calmierare i prezzi (così Diocleziano a cavallo fra il III e il IV secolo d..C.); si istituiscono almeno due ministri ‘finanziari’, il comes sacrarum largitionum ed il comes rerum privatarum, artefici di una politica fiscale invadente. Era infatti indispensabile ‘tosare le pecore’ per alimentare una burocrazia ipertrofica, in campo civile e soprattutto militare, allo scopo di difendere i confini dalle invasioni ricorrenti.    
  1. Come la crescente influenza del cristianesimo cambiò la percezione dell’economia e delle sue leggi?
La mia impressione è che il cristianesimo, il cui ufficiale riconoscimento data a non prima del 313 (Editto di Milano, di Costantino), abbia influito più su altre politiche, diverse da quella economica, come ad esempio quella in materia religiosa (relativa a tutti i culti, e specialmente ai movimenti ereticali da reprimere), giudiziaria e penale, familiare e sessuale. In materia finanziaria gli imperatori avevano urgenza di provvedere nel senso sopra indicato, per la sopravvivenza stessa di una società ormai ‘ingessata’ e bisognosa di difesa. Certo, non si può tacere il ruolo che le singole ecclesiae, ormai organizzate intorno ad un edificio episcopale, esercitarono nel campo della solidarietà, anche attraverso le c.d. piae operae.  
  1. Quale fu l’impatto delle invasioni barbariche sulle istituzioni economiche romane?
Alcuni autori tendono a mio avviso a sottovalutare oggi l’impatto delle invasioni dei barbari, anche se alcuni di essi divennero indubbiamente alleati di Roma e contribuirono a rimpinguare le fila dell’esercito. La realtà è che, come prima dicevo, l’esigenza di contenere i barbari al confine determinò la moltiplicazione delle spese militari, con conseguenze spaventose per le casse dei cittadini romani, sempre più oppressi da un regime fiscale invadente. Laddove poi i barbari superavano i confini e dilagavano nei territori imperiali (come nella pars Occidentis, indebolita e presto abbandonata a sé stessa), è chiaro che ne risentirono pesantemente le economie locali, agrarie e non solo, tanto che molti cercarono protezione, sulle alture, nelle roccheforti di potenti signori in grado di fornire nutrimento e protezione. In precedenza, mi sono azzardato a parlare di economia curtense, o pre-curtense, ma ovviamente il suo riconoscimento, tramite il sistema feudale, erano ancora molto lontano dal venire.
  1. Ci può indicare 3 opere significative per approfondire questi temi?
Testo a mio giudizio basilare, per avvicinarsi ai problemi connessi all’ordinamento giuridico-economico del mondo romano, inteso in tutte le sue fasi, è P. Cerami e A. Petrucci (2010), Diritto commerciale romano. Profilo storico, Torino, Giappichelli. Per l’età arcaica, a prevalente economia agro-pastorale, si vedano i lavori di L. Capogrossi Colognesi, prestigioso giusromanista oggi membro dell’Accademia dei Lincei, ed in particolare per es. La struttura della proprietà e la formazione dei ‘iura praediorum’ nell’età repubblicana, II voll., Milano, Giuffré, (1976 [1969]). Per età successive preziosa la lettura di F. Fasolino (2019), Aspetti giuridici dell’attività bancaria a Roma, Napoli, Satura; in merito all’importante funzione che, nel contesto economico romano, svolsero anche gli argentarii (banchieri), mai comunque inquadrati in un sistema organico. 

Autore

  • Lorenzo Franchini

    Professore ordinario di Diritto romano e diritti dell’antichità, si è laureato con lode all’Università Cattolica di Milano, dove gli è stato conferito il “Premio Gemelli”, per la miglior laurea. Ha vinto borse di studio per attività di perfezionamento all’estero (Germania), ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca presso l’Università di Padova, di Assegnista di Ricerca presso la stessa Cattolica di Milano, e si è infine strutturato presso l’Università Europea di Roma. È stato per lungo tempo Assistente Scientifico alla Presidenza dell’Enciclopedia Treccani e per diversi anni Responsabile nazionale giovanile dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani. A partire dal 2011 è componente del Comitato scientifico della rivista Studia et Documenta Historiae et Iuris.

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