di Alessandro Pavarin
Paolo Emilio Taviani arrivò all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano alla fine del 1935. Tra il 1936 ed il 1939 fu Assistente volontario presso la cattedra di Economia politica nell’Istituto di Scienze economiche diretto da Francesco Vito2. La sua ambizione era quella di diventare un economista.
Nel novembre del 1934 Taviani aveva conseguito una prima laurea in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Genova3con una tesi in Economia politica dal titolo Saggio di una dottrina dell’utilità economica sotto la guida di Emanuele Sella (Vaudano 1999). Era poi entrato nel Collegio Mussolini di Scienze Corporative della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa dove aveva ottenuto una seconda laurea in Scienze sociali e corporative4 (Mariuzzo 2010: 104 e 142-143; Veneruso 2012: 30-31). Da giovane studente aveva coltivato interessi in campi disparati. Presso l’Ateneo genovese aveva sostenuto esami di letteratura italiana e spagnola, di geografia, di storia dell’arte e filosofia5. Già autore di apprezzati saggi storici (Taviani 1932), esercitava anche una significativa attività giornalistica scrivendo per alcuni quotidiani cattolici del capoluogo ligure6. Cominciò a sviluppare un particolare interesse verso temi di carattere economico e sociologico a partire dal 1932.
Fin dall’inizio dei suoi studi economici, Taviani coltivava l’ambizione di formulare una teoria corporativa sull’origine dei bisogni e dei fini dell’azione economica (Taviani 1938). Essi non avrebbero dovuto essere considerati come dati – come nella teoria neoclassica –, ma indagati nei processi dinamici della loro formazione e della loro modificazione nel corso del tempo nonché in relazione alla complessità delle loro interrelazioni (complementarità) e della loro natura psicologica e morale. In altri termini, Taviani avrebbe voluto formulare una teoria con preferenze endogene in grado di coniugare morale ed economia.
L’agognata carriera accademica fu però interrotta nel 1938, quando Taviani fu bocciato al concorso per professore straordinario alla cattedra di Economia politica corporativa della Regia Università di Sassari (Ministero dell’Educazione nazionale 1939: 597-605). Continuò gli studi laureandosi in filosofia in Cattolica nel 19397 e riuscì anche ad ottenere l’assistentato di economia nel 1940 presso l’Università di Genova8 (Taviani 1940). Riorientò la sua ambizione accademica verso la storia del pensiero economico e nel 1943 riuscì a raggiungere il suo obiettivo: conseguì la libera docenza in Storia delle dottrine economiche e fu anche nominato professore incaricato di Demografia9.
Il percorso di formazione del giovane studente genovese fu segnato da suggestioni culturali di natura contrastante. Iscritto alla Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci) (Marcucci Fanello 1971), divenne presidente della sezione genovese nel 1933 (Genova. Associazione maschile 1933: 4). Allo stesso tempo, come tanti altri studenti cattolici dell’epoca, fu membro dei Gruppi universitari fascisti (Guf). La frequentazione dei Guf costituiva un’occasione per estendere la sua rete di contatti e talvolta anche un’opportunità per riuscire ad accelerare gli studi (Giuntella 1979: 1016; La Rovere 2003). Nella Fuci Taviani ebbe relazioni significative con il “gruppo del seminario” ed in particolare con don Emilio Guano e don Franco Costa10, ovvero con una corrente critica nei confronti del regime (Veneruso 1979: 48-49, 60). Fu peraltro vicino al ‘dissidente’ Sella, membro dell’antifascista “gruppo del caffè Vecchi” e assiduo ospite del salotto dell’ex Popolare Achille Pellizzari (Giuntella 1979: 1121-1123). A Pisa ebbe d’altronde l’occasione di confrontarsi con il filosofo Ugo Spirito, allievo di Giovanni Gentile, e con la sua radicale critica al liberalismo e al capitalismo (Goisis 1978: 183-184). Sia pure in disaccordo con l’attualismo di Gentile, Taviani nutrì una certa stima per Spirito (Taviani 2001: 364). Ne condivise almeno in parte i giudizi sulla crisi del ’29: essa non fu “soltanto economica” (Taviani 1933a: 1), ma anche un “crollo […] morale della civiltà” (Taviani 1933c: 3; Taviani 1933b: 4), la disgregazione di ciò che rimaneva del mondo liberale (Taviani 1933a: 1). Aveva inoltre buoni rapporti con il Rettore dell’Ateneo milanese, Agostino Gemelli11, e una relazione privilegiata con Francesco Olgiati, braccio destro del Rettore nella formazione religiosa degli studenti (Vanzan 2007: 371; Vecchio et al. 1986; Raponi et al. 1994) e già allievo di Dalmazio Minoretti, arcivescovo di Genova (Veneruso 1982: 391-394; Olgiati 1936: 17). Quest’ultimo aveva peraltro ottenuto la cattedra di Economia sociale nel Seminario della quale Giuseppe Toniolo era stato il precedente titolare (Duchini 1998: 241; Combi 1999). Il Rettore era impegnato nell’attrarre verso l’Università Cattolica le più promettenti giovani leve del mondo cattolico. D’altra parte, l’adesione di uno studente cattolico come Taviani a gruppi giovanili in competizione con l’Ateneo, come il “gruppo del seminario”, avrebbe potuto significare avere “un nuovo nemico nella Fuci” 12.
Taviani voleva diventare l’assistente di Amintore Fanfani, giovane docente di Storia economica presso l’Ateneo milanese (Borelli 2013; Magliulo 2013; Campanini 2004; Pecorari 2008; Roggi 2005; Roggi 2008; Schefold 2011). Il professore toscano aveva gradito la benevola recensione che il genovese aveva dedicato alla sua fortunata monografia Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo (Taviani 1934a: 3; Fanfani 1934b). Fanfani aveva però già un altro assistente, Gino Barbieri. Fu così che Taviani finì per diventare l’assistente di Vito.
Per i primi due anni, almeno in apparenza, il rapporto tra Taviani e Vito non sembrò presentare particolari problemi. In realtà, in questo periodo, insorsero degli importanti contrasti di cui Gemelli venne a conoscenza solo nel corso del 1937. Le ragioni dello screzio tra Taviani e Vito sono importanti perché vanno ricondotte al conflitto metodologico cui il corporativismo dette luogo nel mondo universitario cattolico negli anni ’30. Sia pure consapevole dei suoi limiti e critico in particolare nei confronti del carattere statico della teoria neoclassica (Vito 1933), Vito ne condivideva gli assunti fondamentali (Vito 1940). Alcuni economisti, fra i quali lo stesso Fanfani, erano invece attratti dall’idea del cosiddetto corporativismo ‘integrale’: aspiravano a formulare una ‘nuova’ scienza economica fondata sull’azione di un ipotetico homo corporativus (Zagari 1982: 27). Era alla luce di questa possibile prospettiva che Fanfani auspicava di “sistemare cattolicamente […] l’economia” (Fanfani 1934a: 154). Tra i maggiori fautori di questo indirizzo c’era Gino Arias, fiorentino di famiglia ebraica convertito al cristianesimo (Ottonelli 2012; Ottonelli 2013), cui Taviani era legato da “vincoli di comunanza di idee”13. Sia pure rimanendo sullo sfondo di questa vicenda e digiuno di studi economici, Gemelli giocava in questo confronto un fondamentale ruolo di riferimento. Il Rettore aveva il compito istituzionale di preservare un equilibrio potenzialmente instabile nel conciliare la credibilità scientifica dell’Ateneo con la sua identità cattolica, allora ricondotta ai principi del neotomismo. Gemelli forniva un ponderato avallo alle direzioni di ricerca seguite nell’Ateneo. Fanfani vedeva nel Corporativismo fondato sul neotomismo una promettente “idea nuova”, sia “politica” sia “religiosa” (Fanfani 1932: 17). Taviani era altrettanto attratto da questa “idea nuova” e definì Arias, Sella e Fanfani i suoi “maestri nella disciplina specifica”14 del corporativismo. Proprio tale “idea nuova” fu però anche l’oggetto di un’accesa polemica tra Vito e Arias, nella quale Taviani si schierò con quest’ultimo.
Lo stesso Fanfani subì il fascino dell’economista fiorentino quando questi presentò un contributo di orientamento neotomistico al Convegno di studi corporativi di Ferrara del 1932. Lo storico aretino segnalò quindi l’intervento ferrarese di Arias a Jacopo Mazzei, suo maestro. Arias fu invitato a tenere una serie di lezioni sul corporativismo a Milano (Ottonelli 2009: 14-16; Bocci 1999: 200; Arias 1934). Le aspettative nutrite nei confronti dell’economista fiorentino vennero però presto deluse. Il suo eterodosso approccio teorico non apparve persuasivo. Il corporativismo declamato da Arias si rivelò soverchiamente retorico quanto teoricamente inconsistente e comunque incompatibile con gli assunti fondamentali della teoria economica prevalente.
L’esordio di Arias nell’Ateneo milanese fu alquanto incauto ed infelice. Nel corso delle lezioni milanesi, il fiorentino formulò sgradevoli critiche contro Vito, già bersaglio di altri fastidiosi attacchi in precedenti occasioni (Ottonelli 2012: 251-259). Il Rettore chiese quindi a Fanfani spiegazioni sull’incresciosa vicenda15, segnalatagli a sua volta da Vito16. Lo storico aretino era rimasto indubbiamente spiazzato dal comportamento di Arias (Fanfani 1934a: 154) e non perse l’occasione per fornire a Gemelli validi motivi per chiudere le porte dell’Università Cattolica ad Arias. Fanfani fece riferimento sia alle probabili e sgradite ambizioni accademiche di Arias sia alla modalità enfatica e sconveniente con cui quest’ultimo aveva promosso quell’indirizzo di ricerca sul corporativismo verso il quale lo stesso Fanfani aveva mostrato interesse (ibidem). Secondo le voci raccolte da Fanfani, Arias cercava di “essere chiamato” (ibidem) in Università Cattolica. Ma l’eventuale presenza dell’economista fiorentino nell’università milanese sarebbe diventata un’inevitabile causa di contrasti poiché Arias cercava “di farsi maestro”, mentre sia Vito sia lo stesso Fanfani avevano ormai “la testa capace di lavorare da sé” (ibidem). Lo studioso fiorentino esasperò inoltre intenzionalmente lo scontro sulla questione metodologica con Vito, mettendosi peraltro in cattiva luce presso la gran parte degli economisti dell’Ateneo.
L’adesione di Vito al corporativismo (Vito 1935) non implicava una condivisione del concetto di scienza economica esposto da Arias. Secondo Vito, l’economista in quanto scienziato non aveva affatto il compito di rappresentare “esattamente la realtà” (Vito 1936: 259). Citando Maffeo Pantaleoni, Vito affermava di concepire la scienza economica come un “processo di astrazione” (ibidem) simulando situazioni in cui bisogni e fini sono dati. Allo stesso tempo, Vito prendeva però le distanze dal positivismo materialista dell’economista marchigiano rifiutando l’idea di una supposta indipendenza della scienza dall’etica. La scienza era infatti essenziale affinché l’economista potesse pianificare interventi e strumenti di politica economica per realizzare fini che, tuttavia, avevano una valenza politica e morale. Pur riconoscendo che l’“arte economica”, ovvero la politica economica – spiegava Vito –, “non può che essere che l’applicazione dei risultati della scienza” (ibidem: 257; Parisi 2008), Vito sottolineava che anche in politica economica l’economista doveva considerare i fini (etici) come dati. Essi dovevano essere “dati dalla valutazione filosofica”, dovevano cioè essere espressi dal filosofo al cui servizio l’economista operava per definire l’utilizzo razionale delle scarse risorse a disposizione dell’uomo e “suscettibili di impiego alternativo” (Vito 1936: 267). La razionalità dell’economista aveva perciò una valenza essenzialmente strumentale sia che questi stesse astrattamente teorizzando l’azione dell’homo oeconomicus sia che stesse programmando un intervento di politica economica in vista della realizzazione di uno scopo collettivo.
Secondo Arias, nella prospettiva di Vito non c’era però un sostanziale nesso tra economia ed etica (Arias 1936: 398) e il ruolo dell’economista era assai limitato. Arias reputava che l’economista dovesse partecipare alla definizione dei fini etici della politica economica (Arias 1936: 399). L’economista secondo Arias – così come per Taviani – doveva valutare “anzi attentamente i fini” ed era chiamato a stabilire ed esaminare i “presupposti etici e politici” della politica economica e a studiarne “l’applicazione in tutto il suo vasto territorio” (ibidem). In altri termini, l’economista non doveva avere quel ruolo subalterno al filosofo che Vito sembrava attribuirgli. Arias esasperava il fatto che, definendo l’uso dei mezzi, l’economista non potesse fare a meno di condizionare o influire sui fini. Le scelte dell’economista non erano e non potevano mai essere politicamente e perciò eticamente “neutre” (ibidem: 398, 400).
Questo approccio destò l’attenzione di Fanfani (Fanfani 1937: 143; Bocci 1999: 228). Lo stesso storico si era infatti interessato allo studio di un processo di nascita e definizione dei bisogni e dei fini che potesse avere una rilevanza non solo filosofica ma anche scientifica (Fanfani 1932). A questo proposito Fanfani aveva redatto un saggio sulla ricerca di una rinnovata teoria del valore e dell’utilità di ispirazione mengeriana (ibidem) che influenzò l’attività di studio di Taviani e risultò gradita ad Arias.
Il tono polemico dell’economista fiorentino nel configurare il corretto rapporto tra economia e filosofia – sia pure neotomistica – aveva destato, dunque, grande perplessità a Milano. Fanfani raccontò che non si vide “di buon occhio la venuta di Arias dagli economisti, dagli statistici dai giuristi (tutti e tre puri)” della Cattolica (Fanfani 1933: 146). L’inopportuna veemenza con cui Arias propose le sue tesi diventò l’occasione per muovergli contro “l’accusa di funambolismo” (ibidem). Ancor meno convincente fu l’idea che l’homo corporativus potesse davvero sostituire l’homo oeconomicus della teoria neoclassica. Peraltro, aggiungeva lo stesso Fanfani, “ancora non [era] dimostrato” che gli economisti ortodossi avessero “scritto solo sciocchezze” (ibidem: 154). Era perciò inopportuno “legare l’Università e le sue opere a programmi” che non erano ancora adeguatamente “maturati” (ibidem). Pertanto, nonostante le suggestioni suscitate dall’aspirazione a rinnovare le categorie economiche alla luce del connubio tra scienza ed etica, il giudizio complessivo dell’Ateneo nei confronti di queste forme di corporativismo “integrale” rimaneva caratterizzato da grande prudenza se non addirittura da un’ostilità più o meno latente.
Il giovane Taviani spese ingenti energie nello studio di una teoria della scelta economica che risalisse alla natura etica dei bisogni e dei fini del soggetto economico (Taviani 1938) rifacendosi al contributo della scuola viennese di Hans Mayer (Mayer 1995; Schulak, Unterköfler 2011: 128-129; Boehm 1992; Leonard 2007; Giocoli 2003: 80-82).
Il processo di scelta descritto dallo studioso genovese si articola in tre fasi. In primo luogo, si definisce il “bisogno in bianco”, un bisogno materiale o un fine etico – qualificati anche come bisogni di “ordine superiore” – che viene espresso prima del giudizio di utilità, formulato solo successivamente in rapporto all’impiego di un determinato bene che soddisferà il bisogno o realizzerà il fine che l’individuo persegue (Taviani 1938: 54). Il bisogno di “ordine superiore” è un’aspettativa di soddisfazione (O’Driscoll, Rizzo 1985: 45) che spingerà il soggetto a cercare un bene materiale o immateriale (spirituale) adatto ad appagarlo17. Il movente del soggetto economico non è espresso solo sulla base di un unico movente (psicologico) materiale – come nella teoria neoclassica –, ma da una pluralità di bisogni e di fini etici che il soggetto apprende attraverso le relazioni sociali e l’appartenenza alle istituzioni di cui è partecipe18. L’uomo fa propri i fini di natura sociale ed istituzionale “per effetto dei principi di propensione socievole, di sessualità, di gerarchia, di autorità” 19 (Taviani 1938: 1-3). Tra i bisogni e i fini di “ordine superiore” esiste un rapporto di “complementarità psichica” ed “etica”. La prima consiste nell’interdipendenza temporale dei bisogni e dei fini e si manifesta attraverso un processo dinamico già descritto da Sella20 (ibidem: 109; Sella 1915: 481-483). Come osservato da Rosenstein-Rodan, esponente della ricordata scuola viennese, “la soddisfazione di un bisogno è premessa per il sorgere di altri” (Rosenstein-Rodan 1933: 261). Il soggetto che ha appagato un certo bisogno si trova in una nuova situazione in cui percepisce un nuovo e diverso bisogno in “conseguenza della realizzazione della [precedente] scelta” (Taviani 1938: 109). Le molteplici motivazioni materiali ed etiche che animano l’atto economico sono quindi ordinate gerarchicamente21 con “un rapporto di subordinazione del materiale allo spirituale” (ibidem: 110), secondo una visione del mondo coerente con quella della filosofica neotomista (Solari 2007:46).
Nel secondo momento del processo di scelta il soggetto formula il proprio giudizio di utilità legato alla “valutazione d’un mezzo”22 che possa soddisfare l’individuo (Taviani 1938: 60). La prospettiva con cui si compie tale valutazione non è quella della teoria neoclassica. Lo studioso genovese adotta un’impostazione poi, ad esempio, riproposta da un autore eterodosso come Kelvin J. Lancaster. In tema di teoria della domanda, l’economista australiano rifiuta la tesi neoclassica secondo cui “goods are the direct objects of utility” (Lancaster 1966: 133). Per Taviani non “esiste l’utilità di un determinato bene” quanto “l’utilità di un determinato impiego di quel bene” (Taviani 1938: 81; Rosenstein-Rodan 1933: 291-292). Come argomentato da Lancaster, l’utilità dell’impiego deriva dalle “properties or characteristics of the goods” (Lancaster 1966: 133). Il giudizio di utilità viene cioè espresso a motivo di certe caratteristiche o proprietà rilevanti di un bene al fine di un suo determinato utilizzo insieme ad altri beni complementari, data la correlazione esistente tra l’utilità e i bisogni psicologici e i fini etici (di “ordine superiore”) che sollecitano un soggetto a cercare e impiegare quel bene. Dalla complementarietà dei bisogni e dei fini deriva infatti la complementarietà degli impieghi di determinate quantità dei beni domandati. L’utilità non ha una dimensione cardinale, ma ha piuttosto una valenza psicologica ed etica dalla cui percezione scaturisce l’impiego di un bene in relazione a certe sue qualità. Il rapporto tra utilità e quantità domandata non può quindi essere espresso attraverso una funzione matematica tra due grandezze misurabili23 (Taviani 1938: 86-89). Analogamente a quanto poi osservato da Georgescu-Roegen, “[t]he pattern of our wants as reflected by the economic goods which satisfy them appears inextricably complex because there is no one-to-one correspondence between wants and goods” (Georgescu-Roegen 1954: 517).
Nel terzo momento del processo di scelta si procede alla creazione del piano di consumo. Dato un determinato insieme di bisogni di “ordine superiore” ordinati gerarchicamente, il piano di consumo rappresenta l’allocazione degli impieghi dei beni disponibili in relazione alle aspettative di consumo espresse in termini dell’utilità attesa associata a ciascun impiego dei beni (“utilità singolare”) nonché dell’utilità attribuita all’intera combinazione degli impieghi dei beni (“utilità economica complessiva”), detta “disposizione economica”. Il piano di consumo “è la vera grande incognita dalla cui soluzione tutte le altre dipendono, allo stesso modo che […] dall’utilità complessiva dipendono tutte le utilità singolari e i rispettivi impieghi dei beni” (Taviani 1938: 98). Data la relazione di complementarità vigente tra gli impieghi dei beni, “l’utilità singolare di un determinato impiego acquista significato solo in rapporto all’utilità complessiva di una intera combinazione di impieghi” (Rosenstein-Rodan 1933: 292-293). L’utilità associata a una nuova “disposizione” non dipende pertanto solo dall’“utilità singolare” associata a un nuovo “impiego marginale” di una unità di un bene, data la distribuzione degli impieghi (“inframarginali”) già valutati24: a motivo dell’interdipendenza tra gli impieghi, dipenderà anche dal diverso giudizio di utilità che può essere attribuito all’intera combinazione dopo l’introduzione di un nuovo impiego25. La preferenza finale espressa ha perciò come oggetto non un singolo bene ma un paniere di beni la cui composizione dipende, come già osservato, dai rapporti di sostituibilità e, soprattutto, di complementarietà tra i beni. Inoltre l’ordinamento gerarchico dei bisogni e dei fini nonché la disponibilità dei beni non possono essere considerati dei dati (Taviani 1938: 98). Taviani argomenta la sussistenza della “varietà dei bisogni di momento in momento” ovvero l’esistenza di “differenti bisogni in diversi momenti di tempo” 26 (ibidem: 107-109). Non c’è un singolo bisogno dato a priori che determina il comportamento del soggetto economico, ma vi sono molteplici bisogni e fini che, variando nel tempo, danno luogo a una condotta non sempre prevedibile27. Il soggetto sperimenta un processo di apprendimento il cui oggetto sono sia i beni economici (e non) domandati sia i bisogni percepiti e i fini delle sue azioni. Questo processo dinamico presuppone pertanto delle preferenze di natura endogena.
Taviani non era però in grado di rappresentare in modo analitico-formale la sua complessa teoria. Essa finiva perciò per essere la descrizione di una serie di fasi di un processo di scelta in cui si cercava di approfondirne gli aspetti psicologici e morali. L’autore genovese enfatizzava peraltro gli aspetti etici di questa teoria entrando in tal modo in sintonia con l’orientamento delineato da Arias nelle conferenze milanesi.
Nel complesso e delicato contesto qui delineato, nell’agosto del 1937, la questione del controverso rapporto tra Taviani e l’Università Cattolica venne alla luce. Vito definì “equivoca” 28 la posizione assunta da Taviani verso l’Ateneo. Gli rimproverò sia una discutibile condotta nell’assunzione delle proprie responsabilità in qualità di Assistente dell’Istituto di Scienze economiche sia l’inadeguatezza dell’eterodosso metodo di studio assunto.
Vito sosteneva che Taviani non avesse “mai ritenuto di dover collaborare”29 con l’Istituto presso cui era stato nominato Assistente. Nonostante le sue pur innegabili assenze, dovute a motivi di salute e all’esigenza di assolvere l’obbligo militare30, il genovese fece notare di avere in realtà sempre ottemperato ai suoi obblighi. Le recensioni delle opere che gli venivano richieste e che erano state regolarmente pubblicate sulla «Rivista Internazionale di Scienze Sociali» dimostravano la serietà del suo impegno (Taviani 1934b, 1936). La controversia più aspra aveva peraltro come oggetto il metodo scientifico e, sia pure con diverse modalità e proporzioni, ricalcava un copione molto simile a quello che aveva come protagonisti Arias e lo stesso Vito.
L’esplicitazione del conflitto era stata preceduta da alcuni antefatti. Nel corso dell’anno accademico 1935-36, Vito aveva presentato una relazione sul tema “Economia ed Etica” nel gruppo di studio della Fuci “diretto da Fanfani”31. A seguito dell’intervento di Vito, Taviani aveva preso la parola per mettere “in guardia i fucini contro gli errori”32 scientifici di Vito. Taviani criticava Vito nello stesso periodo in cui Arias stigmatizzava lo scritto dall’omonimo titolo dell’economista campano (Etica ed economia) pubblicato sulla «Rivista Internazionale di Scienze Sociali» (Vito 1936). E, non a caso, Arias apprezzava l’approccio analitico di Taviani33. Pienamente convinto delle proprie tesi, nel luglio del 1937 Taviani scrisse a Gemelli che l’idea (vitiana) di intendere l’economia unicamente come “scienza strumentale” 34 fosse erronea. Così come per Arias, anche per lo studioso genovese il connubio tra visione tomistica del mondo e scienza economica si sarebbe dovuto tradurre in un analogo ed inscindibile legame tra razionalità economica ed etica. In questa prospettiva, sia l’economista sia il soggetto economico erano chiamati a discriminare non solo tra limitati mezzi alternativi ma anche tra fini che avevano natura etica (Arias 1936: 398; Taviani 1938: 96).
L’apice dello scontro tra Taviani e Vito fu raggiunto nella vicenda della pubblicazione della tesi di laurea del giovane Assistente. In gennaio lo studioso genovese aveva consegnato all’economista della Cattolica una versione della sua tesi che gli venne restituita con l’invito a rivederla secondo precise indicazioni35. Dopo una prima revisione del lavoro, Taviani inviò lo scritto a Gemelli36 provocando la stizzita reazione di Vito. L’economista campano sostenne infatti che Taviani fosse “poco convinto”37 delle osservazioni ricevute e non gli avesse voluto rinviare il manoscritto rivisto per scavalcarlo e sperare di trovare un definitivo e positivo avallo da parte di Gemelli. Al di là di quali siano state le reali intenzioni di Taviani, accadde che la commissione dell’Ateneo incaricata di giudicare se lo scritto fosse pronto per la pubblicazione diede un parere negativo38. Taviani espresse a Gemelli il suo disappunto. A suo modo di vedere, la disapprovazione della commissione non era dovuta alla ancora insufficiente elaborazione del suo saggio. Era piuttosto l’esito del rigetto delle sue idee, secondo lui “condivise dal prof. Fanfani”39, ovvero di quelle stesse idee sul rapporto tra economia ed etica che Arias aveva esaltato ma che in Cattolica non avevano (ancora) trovato adeguata accoglienza.
A questo punto Vito avrebbe voluto impedire il rinnovo della nomina ad Assistente di Taviani per l’anno 1937-’3840. Fanfani prese però le parti del giovane genovese. Per il Rettore la posta in gioco non era d’altronde solo quella, sia pure fondamentale, di tutelare la reputazione scientifica dell’Ateneo, ma anche evitare che Taviani venisse attratto da altre componenti del mondo giovanile cattolico. Al di là dei controversi rapporti avuti con Vito, il genovese rimaneva un giovane studioso brillante che era opportuno avere con sé. Sia pure osservando che “giustamente”41 padre Gemelli si preoccupava che i giovani studiosi non si unissero a correnti fucine concorrenti42, Vito metteva però in dubbio la lealtà di Taviani nei confronti dell’Ateneo43. Secondo il direttore dell’Istituto di scienze economiche, il genovese si fregiava della “protezione”44 dell’ostile Arias e di un nemico del calibro di Spirito45, fautore di quell’idealismo gentiliano che rappresentava il principale antagonista filosofico del neotomismo.
Fanfani intervenne quindi innanzitutto cercando di stemperare le tensioni suscitate dall’avventata condotta di Taviani nella Fuci. Non lesinò giustificazioni a favore del giovane autore “ancora un po’ ragazzo negli entusiasmi e nei giudizi ed opinioni”46 e, a suo dire, molto “influenzato” da “Don [Franco] Costa”47, leader di un attivo gruppo fucino non allineato con l’Ateneo milanese (Moro 1979: 351-352). Fanfani non aveva dubbi: Taviani era un valido studioso48: “bisogna[va] aiutarlo, legarlo”49 alla Cattolica. Giunse così la conferma per l’assistentato alla cattedra di Economia anche per l’anno accademico 1938-’3950.
Come già ricordato, la carriera di economista accademico di Taviani non ebbe tuttavia esito positivo. Persuaso da Fanfani, Arias e Sella a presentarsi ad un concorso per una cattedra di economia a Sassari51, Taviani venne respinto (Ministero dell’Educazione nazionale 1939: 605). Sebbene si riconoscesse che il concorrente mostrava “attitudini alla ricerca scientifica”52, lo studio di Taviani sul carattere genetico-causale della scelta economica dell’austriaco Mayer riproposta in un contesto corporativo venne giudicato un “lavoro in cui non senza sottigliezza dialettica” si discutevano “problemi già chiariti da tempo e che quindi non” costituivano “un contributo veramente apprezzabile”53. In effetti Taviani non si dimostrò in grado di formalizzare analiticamente una teoria in cui il soggetto economico fosse dotato di preferenze endogene. Si limitò a riproporre la teoria psicologico-introspettiva di Mayer sull’origine dei bisogni e sulla loro traduzione in moventi per l’azione economica connotandola in senso morale e filosofico neotomista (Pavarin 2017: 172-226).
Nel frattempo, i contrasti con Vito si appianarono54. Mentre quest’ultimo accolse infatti l’istanza di Gemelli a non rompere il rapporto con Taviani, quest’ultimo rinunciò d’altronde a diventare economista per rivolgersi agli studi di storia del pensiero economico. Nonostante il rapporto formale del genovese con la Cattolica si interrompesse definitivamente nel 1939, stima e considerazione da parte dell’Ateneo nei suoi confronti non vennero meno. Nell’autunno del 1940 all’Università Cattolica di Milano si tennero una serie di incontri segreti in cui il fascismo fu messo esplicitamente in discussione (Bocci 1997: 56-57). In questi appuntamenti furono invitate alcune delle personalità più prestigiose dell’Ateneo o vicine ad esso: Taviani fu uno dei convocati, insieme a Vito, Fanfani, Franceschini, La Pira, Giacchi, Gedda e diversi altri (ibidem: 55)55. Lo studioso ligure diventò inoltre uno dei protagonisti del Movimento laureati che nei primi anni ’40 cooperò con la Cattolica per progettare una serie di lezioni sul tema della programmazione sia a motivo delle esigenze poste dall’economia di guerra sia alla luce delle recenti esperienze di economia mista avviate sotto l’ombrello dell’IRI, divenuto ente permanente nel ’36 (Colombo et al. 1945; Oppezzo 1979: 372). In questo contesto si sviluppò un fecondo rapporto tra Taviani e Pasquale Saraceno, che divenne professore incaricato di Revisione e controllo aziendale nel 1938 e poi straordinario in Tecnica industriale e commerciale dal 1942 presso l’Ateneo milanese (Arena 2011; Parisi 1996). Insieme a Sergio Paronetto, Saraceno ebbe un ruolo chiave nell’organizzazione dei rapporti tra la Fuci, l’Istituto cattolico per le attività sociali (ICAS) e l’Università Cattolica (Bocci 1999: 70-71, 58-61). Nel 1943 Taviani fece sapere a Saraceno dell’“entusiastica fiducia” che l’economista valtellinese stava raccogliendo “specie nell’ambiente giovanile”56. Lo stesso Taviani affermò che le tesi di Saraceno sull’economia mista contenevano i “motivi tecnici” di tante sue “convinzioni, maturate piuttosto attraverso a considerazioni morali o sociologiche, se non attraverso a impressioni [sic]”57. Nel corso delle giornate di studio del Movimento si svilupparono elaborazioni economico-giuridiche e sociologiche che trovarono poi spazio nel cosiddetto Codice di Camaldoli (Scaglia 1984; Paronetto Valier 1984: 128, 154-156; Roggi 2012).
Il rapporto di Taviani con l’Università Cattolica del Sacro Cuore fu condizionato da un orientamento di studi non fecondo. Si trattava di un corporativismo utopico, l’aspirazione a una sorta di tomistica societas perfecta che sottendeva peraltro una (complessa) teoria fondata su preferenze endogene che Taviani non era, tuttavia, in grado di sviluppare analiticamente. Pur partendo da contrastanti orientamenti politici, Sella prima, Arias poi e, infine, sebbene assai più prudentemente, Fanfani, lo avevano spinto in questa stessa direzione. Nonostante queste difficoltà, Taviani non rinunciò alla carriera accademica e trasse frutto dagli studi di teoria economica compiuti in gioventù. Non solo diventò professore di storia delle dottrine economiche ma anche uomo politico in grado di valutare con un acume e spirito critico le scelte di politica economica che il suo partito, la Democrazia cristiana, adottò nel corso della storia repubblicana. Lui stesso ne fu un autorevole interprete in qualità di responsabile di diversi dicasteri economici tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Arena G. (2011). Pasquale Saraceno commis d’État: dagli anni giovanili alla ricostruzione (1903-1948), Milano, Franco Angeli.
Arias G. (1934). La filosofia tomistica e l’economia politica, Milano, Vita e Pensiero.
Arias G. (1936). Etica ed economia: una posizione di compromesso, Economia. Rivista di economia corporativa e di scienze sociali, 14(5): 395-402.
Bocci M. (1997). Stato e democrazia. Un dibattito culturale nell’Università Cattolica al tramonto del regime, Istituto di storia moderna e contemporanea – Università Cattolica del sacro cuore, Annali di storia moderna e contemporanea, 3(3): 53-85.
Bocci M. (1999). Oltre lo Stato liberale. Ipotesi su politica e società nel dibattito cattolico tra fascismo e democrazia, Roma, Bulzoni.
Bocci M. (2003). Agostino Gemelli rettore e francescano. Chiesa, regime, democrazia, Brescia, Morcelliana.
Bocci Girelli A.M. (ed.)(2013). Amintore Fanfani storico dell’economia e statista. Economic Historian and Statesman, Milano, Franco Angeli.
Boehm S. (1992). Austrian economics between the wars: some historiographical problems. In Caldwell B.J., Boehm S. (eds.)(1992). Austrian Economics: Tensions and New Directions, Boston-Dordrecht-London, Kluer Academic Publishers: 1-34.
Borelli G. (2013). Il problema storico del capitalismo nella visione di Amintore Fanfani. In Bocci Girelli A.M. (ed.): 27-34.
Brizzolari C. (1974). Un archivio della Resistenza in Liguria, Genova, Di Stefano.
Campanini G. (2004). Amintore Fanfani e il dibattito sulle origini del capitalismo, Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, 39(1): 3-11.
Casavola F. et al. (1984). In ascolto della storia. L’itinerario dei «Laureati cattolici» 1932-1982, Roma, Studium.
Cazin G. (1933), Sagesse du chef d’entreprise, Paris, Desclée De Brouwer.
Colombo C. et al. (1945). L’ordine interno degli Stati nel radiomessaggio di Sua Santità Pio XII del Natale del 1942, Milano, Vita e Pensiero.
Combi E. (1999). Aspetti inediti del prete “sociale” ambrosiano C. D. Minoretti. Il carteggio con Toniolo, Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, 34(2): 195-249.
De Giorgi F. (2012). Mons. Montini. Chiesa e scontri di civiltà nella prima metà del Novecento, Bologna, Il Mulino.
O’Driscoll G.P., Rizzo M.J. (1985). The Economics of Time and Ignorance, Oxford (UK) – New York (USA), Basil Blackwell,
Duchini F. (1998), Economia. In Ruini C. et al. (eds): 237-277.
Fanfani A. (1932). Natura e concetto di bisogno in una visione integrale della realtà economica, Roma, Stab. Tip. del Giornale d’Italia. Estratto da Economia. Rivista di economia corporativa e di scienze sociali, 10(3).
Fanfani A. (1933). Amintore Fanfani a Jacopo Mazzei. Milano, 24 febbraio 1933, In Michelagnoli G. (2010): 146-147.
Fanfani A. (1934b). Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, Milano, Vita e Pensiero.
Fanfani A. (1937). Il significato del Corporativismo, Como, Cavallari.
Fanfani A. (2005[1934]). Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, prefazione di Antonio Fazio, Padova, Marsilio.
Fanfani A. (2008). Capitalismo, socialità, partecipazione, Padova, Marsilio.
Genova. Associazione maschile (1933). Azione fucina, 15 gennaio: 4.
Georgescu-Roegen N. (1954). Choice, Expectation and Measurability, Quarterly Journal of Economics, 68/4: 503-534.
Giocoli N. (2003). Modelling Rational Agents. From Interwar Economics to Early Modern Game Theory, Cheltenham (UK) – Northampton (MA, USA), Edward Elgar.
Giuntella M.C. (1979). Circoli universitari cattolici e ambiente universitario nell’Italia settentrionale. In Pecorari P. (ed.): 1112-1132.
Goisis G.L. (1978). Maritain e i «non-conformisti» italiani degli anni trenta. In Papini R. (ed.): 181-203.
Grandi A. (2001). I giovani di Mussolini. Fascisti convinti, fascisti pentiti, antifascisti, Milano, Baldini & Castoldi.
La Rovere L. (2003). Storia dei Guf: organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista, 1919-1943, Torino, Bollati Boringhieri.
Labadessa R. (1935). Storia e dottrina della cooperazione, schema per un corso di lezioni, Roma, La Formica.
Lancaster K.J. (1966). A New Approach to Consumer Theory, Journal of Political Economy, 74/2: 132-157.
Leonard R. (2007). “Between Worlds”, or an Imagined Reminiscence by Oscar Morgenstern about Equilibrium and Mathematics in the 20s. In Weintraub E.R., Forget E.L. (eds.)(2007). Economists’ Lives: Biography and Autobiography in the History of Economics, History of Political Economy, Annual Supplement to vol. 39: 234-268.
Magliulo A. (2013). Amintore Fanfani e la storiografia del pensiero economico. In Bocci Girelli A.M. (ed.): 49-70.
Malgeri F. (ed.)(2012). Paolo Emilio Taviani nella cultura politica e nella storia d’Italia, Recco, Le Mani – Istituto Luigi Sturzo.
Mancini O., Perillo F., Zagari E. (ed.)(1982), La teoria economica del corporativismo. I, Napoli, ESI.
Marcucci Fanello G. (1971). Storia della Federazione universitaria cattolica italiana, Roma, Studium.
Mariuzzo A. (2010). Scuole di responsabilità. I “Collegi nazionali” della Normale gentiliana (1932-1944), Pisa, Edizioni della Normale.
Mayer H. (1995[1932]). The Cognitive Value of Functional Theories of Price. Critical and Positive Investigations Concerning the Price Problem. In Kirzner I.M. (ed.) (1995). The Interwar Period. In Classics in Austrian Economics. A Sampling in the History of a Tradition, II, London, William Pickering: 55-170. Edizione tedesca: Der Erkenntniswert der Funktionellen Priestheorien. In Mayer H., Fetter F.A., Reisch R. (hrsg.)(1932): 147-239.
Michelagnoli G. (2010). Amintore Fanfani. Dal corporativismo al neovolontarismo statunitense, Soveria Mannelli, Rubettino.
Ministero dell’Educazione nazionale (1939). Bollettino ufficiale. Parte II. Atti di amministrazione, I, 23 marzo, 66(12): 597-605.
Moro R. (1979). La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Bologna, Il Mulino.
Olgiati F. (1936). L’eloquenza del cardinal Minoretti, Vita e Pensiero, 23(6): 17-20.
Oppezzo G.P. (1979). Le riviste dell’Università Cattolica. In Ruffilli R. (ed.)(1979). Cultura politica e partiti nell’età della Costituente, I: L’area liberal-democratica. Il mondo cattolico e la Democrazia Cristiana, Bologna, Il Mulino, II: 363-424.
Ottonelli O. (2009). Introduzione. In Arias G., Antologia di scritti, a cura di Piero Roggi, Firenze, Le Monnier: 1-18.
Ottonelli O. (2012). Gino Arias (1879-1940). Dalla storia delle istituzioni al corporativismo fascista, Firenze, Firenze University Press.
Ottonelli O. (2013). Dealing with a dangerous golem: Gino Arias’s corporative proposal, The European Journal of the History of Economic Thought, 20(6): 1032-1070.
Papini R. (ed.)(1978). Jacques Maritain e la società contemporanea, Milano, Editrice Massimo.
Parisi D. (1996). Venticinque anni nell’Università Cattolica di Milano: Pasquale Saraceno (1933-1959), Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, 31(2): 294-305.
Parisi D. (2008). Revealing the Connection between the Gospel and History: The Definition of “Economics at the Service of Humankind” in the Analysis of Francesco Vito, History of Political Economy, 40(5): 88-113.
Paronetto Valier M.L. (1984). Il Codice di Camaldoli, in Casavola et al.: 153-166.
Pavarin A. (2017). Paolo Emilio Taviani. La formazione e i primi studi economici (1930-1943), prefazione di Piero Barucci, Roma, Editrice Apes.
Pecorari P. (ed.)(1979). Chiesa, Azione Cattolica e fascismo nell’Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939), Milano, Vita e Pensiero.
Pecorari P. (2008). Amintore Fanfani, Giuseppe Toniolo e lo spirito del capitalismo, Storia economica, 11(2-3): 321-350.
Pombeni P. (1979). Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia cristiana (1938-1948), Il Mulino, Bologna, 1979.
Raponi N. (2003). L’azione formativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. In Pazzaglia L. (ed.). Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, La Scuola, Brescia: 171-215.
Raponi N. et al. (1994). Mons. Francesco Olgiati: il docente educatore, Busto Arsizio, Istituto “Francesco Olgiati”.
Roggi P. (2005). Introduzione. In Fanfani A. (2005): XVII-XXXIV.
Roggi P. (2008). Introduzione. In Fanfani A. (2008): 9-26.
Roggi P. (2012). Paolo Emilio Taviani riformatore sociale. In Malgeri F. (ed.): 49-60.
Rosenstein-Rodan P. (1933), La complementarietà prima delle tre tappe del progresso della teoria economica pura, La Riforma Sociale, 60(2): 257-308.
Ruini C. et al. (eds.) (1998). L’Università Cattolica a 75 anni dalla fondazione, Milano, Vita e Pensiero.
Scaglia G.B. (1984). I congressi. In Casavola et al.: 125-140.
Schefold B. (2011). Amintore Fanfani e le tesi di Max Weber, Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, 46(1-2): 111-123.
Schulak E.M., Unterköfler H. (2011). The Austrian School of Economics. A History of Its Ideas, Ambassadors, & Institutions, Auburn (Alabama, USA), Ludwig von Mises Institute.
Sella E. (1915). La concorrenza. Sistema e critica dei sistemi, Torino, Fratelli Bocca, I.
Solari S. (2007). The contribution of neo-thomistic thought to Roman Catholic social economy, American Review of Political Economy, 5/2: 39-58.
Taviani P.E. (1932). L’opera di Bolivar, Roma, Studium.
Taviani P.E. (1933a). Capitalismo, capitale, liberalismo, “homo oeconomicus”, Azione fucina, 3 dicembre.
Taviani P.E. (1933b). Il mondo senz’anima, Il Rinascimento Letterario, 2(17): 4.
Taviani P.E. (1933c). La cancrena della civiltà, Il Nuovo cittadino, 2 febbraio: 3.
Taviani P.E. (1934a). Problemi sociali del presente. Capitalismo e Cattolicesimo, Il Nuovo Cittadino, 28 luglio: 3.
Taviani P.E. (1934b). recensione di Cazin G. (1933), Rivista Internazionale di Scienze Sociali, 42(6): 854-855.
Taviani P.E. (1936). recensione di Labadessa R. (1935), Rivista Internazionale di Scienze Sociali», 44(3): 338.
Taviani P.E. (1938). Il concetto di utilità e la teoria economica, Milano, Vita e Pensiero.
Taviani P.E. (1940). Cournot e il positivismo, Rivista Internazionale di Scienze Sociali, 48(1): 23-35.
Taviani P.E. (2001). Paolo Emilio Taviani. In Grandi A.: 240-245.
Vanzan P.-S.S.I. (2007). L’impegno laicale di Giuseppe Lazzati, La Civiltà Cattolica, quaderno 3760, 158(I): 369-379.
Vaudano M. (ed.)(1999). La figura e l’opera di Emanuele Sella, Biella, Sella di Monteluce Foundation – Docbi – Centro Studi Biellesi.
Vecchio G. et al. (1986). Monsignor Francesco Olgiati nel I centenario della nascita (1886-1986), Milano, Vita e Pensiero.
Veneruso D. (1979). Il dibattito politico-sociale nella chiesa genovese durante l’episcopato del card. Carlo Dalmazio Minoretti. In Pecorari P. (ed.): 3-62.
Veneruso D. (1982). Carlo Dalmazio Minoretti. In Traniello F., Campanini G. (ed.) (1982). Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, II: I protagonisti, Torino, Marietti: 391-394.
Veneruso D. (2012). Paolo Emilio Taviani dall’Azione Cattolica alla Democrazia cristiana. In Malgeri F. (ed.): 25-47.
Vito F. (1933). La concezione biologica dell’economia. Considerazioni sul sistema del Marshall, Milano, Vita e Pensiero.
Vito F. (1935). Corporativismo, Milano, M. Vigorelli.
Vito F. (1936). Economia ed etica, Rivista Internazionale di Scienze Sociali, 44(3): 254-271.
Vito F. (1940). Economia politica corporativa. Il prezzo, la moneta, Milano, Giuffrè.
Zagari E. (1982). Introduzione. In Mancini O., Perillo F., Zagari E. (ed.), I: 13-59.
Note
1 Questo articolo costituisce la versione rielaborata di un estratto da Pavarin 2017.
2 Cfr. Archivio storico dell’Università Cattolica (d’ora in poi ASUC), Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Agostino Gemelli a Paolo Emilio Taviani (agosto 1938).
3 Cfr. ASUC, Cartella studente Taviani.
4 Cfr. ASUC, Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (28/1/1936).
5 Cfr. ASUC, Fascicolo di Taviani Paolo Emilio, Elenco dei titoli. Ottenne anche il diploma in Paleografia e dottrina archivistica.
6 Taviani scriveva sui fogli genovesi Il Nuovo Cittadino e La Voce Giovanile.
7 Taviani si laureò con la tesi dal titolo Dottrine economiche eterodosse nel Risorgimento italiano e loro fondamenti filosofico-sociali. Condusse le proprie ricerche sotto la supervisione di Francesco Olgiati e i suoi relatori furono lo stesso Olgiati, Fanfani e Umberto Padovani. Cfr. ASUC, Cartella studente Taviani, verbale dell’esame di laurea in filosofia.
8 Insegnò anche storia e filosofia prima a La Spezia, poi a Pisa e infine a Genova (Brizzolari 1974: 375).
9 Cfr. ASUC, Fondo corrispondenza, b. 147, f. 260, c. 1961, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Marina di Pisa, 16/3/1943); certificato rilasciato dall’Università degli Studi di Genova datato 13 gennaio 1964 (Genova).
10 Cfr. ASUC, Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Amintore Fanfani ad Agostino Gemelli (s.d.).
11 Cfr. ASUC, Fondo corrispondenza, b. 86, f. 136, c. 1239, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (19/12/1938).
12 ASUC, Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (5/8/1937).
13 ASUC, Fondo corrispondenza, b. 86, f. 136, c. 1239, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (19/12/1938).
14 Ibidem.
15 Cfr. ibidem, b. 53, f. 77, c. 733, lettera di Agostino Gemelli ad Amintore Fanfani (9/4/1934).
16 Cfr. ibidem, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (8/4/1934).
17 Taviani 1934a: 192.
18 Ibidem: 181, 167-168.
19 Ibidem: 178.
20 Ibidem:125.
21 I bisogni e fini del soggetto non possono essere soddisfatti nello stesso momento ed il bisogno percepito con più urgenza – e soddisfatto il quale si percepisce il successivo – verrà ordinato come gerarchicamente superiore: (Taviani 1938: 76, 129).
22 Taviani 1934a: 16.
23 Taviani non ritiene che il processo di scelta individuale possa essere rappresentato con il procedimento marginalista di massimizzazione dell’utilità. Esso sottende infatti un meccanicismo che non consente di discernere le diverse ragioni che in realtà sollecitano il soggetto ad agire.
24 Per determinare il piano di consumo, il soggetto alloca le unità di un bene tra due potenziali impieghi sulla base del giudizio di utilità attesa (“utilità singolare”) loro attribuita. La distribuzione preferita del bene tra i due impieghi definisce una prima “disposizione economica” scelta. Il soggetto procede quindi ad indagare un nuovo impiego dello stesso bene (“impiego marginale”) e riconsidera perciò la precedente disposizione economica preferita sulla base del diverso giudizio di utilità derivante dal terzo impiego (Taviani 1938: 98-99).
25 L’utilità totale della combinazione preferita non varia solo in rapporto a un cambiamento dell’utilità marginale, ma anche degli impieghi inframarginali. L’utilità economica complessiva attribuita a una determinata disposizione economica complessiva non ha peraltro una natura quantitativa. È possibile però possibile stabilire se una disposizione economica complessiva sia preferibile a un’altra e perciò che la prima sia gerarchicamente superiore alla seconda.
26 Taviani 1934a: 110.
27 I bisogni del soggetto cambiano nel tempo, in seguito alla soddisfazione di quelli già conosciuti, così come i suoi fini, acquisiti in particolare attraverso la frequentazione delle istituzioni. Tra queste ultime, la corporazione è peraltro “la forma migliore per la conciliazione degli interessi, individuali e sociali, economici e morali, nel piano giuridico-politico della vita d’un popolo” (ibidem: 190).
28 ASUC, Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (5/8/1937).
29 Ibidem.
30 Cfr. ibidem, Fondo corrispondenza, b. 62, f. 93, c. 880, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Genova, 9/2/1936); b. 76, f. 116, c. 1098, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Moncalieri, 8/1/1937); b. 77, f. 118, c. 1107, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Bardineto (Sv), 25/7/1937); Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (11/9/1937).
31 Ibidem, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (5/8/1937).
32 Ibidem.
33 Cfr. ibidem, Fondo corrispondenza, b. 68, f. 102, c. 690, lettera di Gino Arias ad Agostino Gemelli (30/7/1936).
34 Ibidem, b. 77, f. 118, c. 1107, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Bardineto (Sv) 25/7/1937).
35 Cfr. ibidem, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Bardineto (Sv), 30/7/1937); b. 76, f. 116, c. 1098, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Moncalieri, 8/2/1937).
36 Cfr. ibidem, b. 77, f. 118, c. 1107, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Bardineto (Sv), 30/7/1937).
37 Ibidem, Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (5/8/1937).
38 Cfr. ASUC, Fondo corrispondenza, b. 77, f. 118, c. 1107, lettera di Agostino Gemelli a Paolo Emilio Taviani (Milano, 28/7/1937).
39 Ibidem, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (Bardineto (Sv), 25/7/1937).
40 Cfr. ibidem, Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (1/10/1937).
41 Ibidem, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (5/8/1937).
42 Nella Fuci erano presenti gruppi che facevano riferimento a diversi soggetti educativi (Moro 1979: 186-187) che competevano per attrarre le giovani leve del mondo cattolico. Lo scontro più acceso fu tra Gemelli, che ambiva ad accentrare nell’Ateneo l’espressione delle direttive educative rivolte ai giovani cattolici (Marcucci Fanello 1971: 126; Pombeni 1979: 37, 99; Bocci 2003: 263), e Giovan Battista Montini insieme a Igino Righetti, Assistente centrale e Presidente della Fuci a partire dal 1925 (Raponi 2003: 180). Soprattutto dopo i cosiddetti “fatti del ’31” anche i Gesuiti, che a loro volta davano voce al Vicariato e alla Curia romana, acquisirono un ruolo significativo nell’ambito della politica educativa giovanile (De Giorgi 2012: 120). Nel congresso fucino di Cagliari del 1932 nacque l’Unione Docenti della Fuci a cui presero parte anche Mario Petroncelli e Giorgio Bo, che Vito bollò come nemici della Fuci (ASUC, Direzione risorse umane, Serie fascicoli personale docente, posizione n. 2846, prof. Taviani, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (5/8/1937)). L’Unione Docenti, che avrebbe dovuto collaborare con il neo-nato Movimento laureati, era d’altronde timorosa nei confronti delle istanze della Curia così come dell’Ateneo cattolico (Moro 1979: 237).
43 Cfr. ASUC, Fondo corrispondenza, b. 77, f. 118, c. 1107, lettera di Francesco Vito ad Agostino Gemelli (5/8/1937).
44 Ibidem.
45 Cfr. ibidem.
46 Ibidem, lettera di Amintore Fanfani ad Agostino Gemelli (s.d.).
47 Ibidem.
48 Cfr. ibidem.
49 Ibidem.
50 Cfr. ibidem, lettera di Agostino Gemelli a Paolo Emilio Taviani (8/10/1937).
51 Cfr. ibidem, Fondo corrispondenza, b. 86, f. 136, c. 1239, lettera di Paolo Emilio Taviani ad Agostino Gemelli (19/12/1938).
52 Ibidem.
53 Ibidem.
54 Cfr. ibidem.
55 La prima riunione si tenne il 4 novembre 1940.
56 Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), in Saraceno, Corrispondenza, Corrispondenza con persone ed enti vari, busta 28, 314 – Taviani Emilio Paolo, lettera di Paolo Emilio Taviani a Pasquale Saraceno (Genova 16/8/1943).
57 Ibidem.
58 Taviani fu Ministro del commercio con l’estero dal luglio all’agosto del 1953 nell’VIII governo De Gasperi, Ministro delle finanze tra il febbraio 1959 e il marzo 1960 nel II governo Segni, Ministro del tesoro tra il marzo del 1960 e il febbraio del 1962 nel governo Tambroni e nel II governo Fanfani, Ministro del bilancio e della programmazione economica nel I governo Andreotti nel febbraio 1972 e poi Ministro del bilancio e della programmazione economica e ministro (senza portafoglio) per interventi straordinari nel Mezzogiorno tra il febbraio 1972 e il luglio 1973 nel II governo Andreotti.
Dottore di ricerca in Storia dell’impresa, dei sistemi d’impresa e finanza aziendale e collabora con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si occupa di storia dell’economia e, principalmente, di sviluppo economico e del ruolo dei cattolici nella politica economica in Italia. Ha svolto attività di ricerca e collaborato con vari istituti, università e imprese, tra cui l’Associazione Guido Carli, l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, l’Istituto Luigi Sturzo, la Fondazione Cesifin Alberto Predieri, l’Istituto Treccani, UniCredit SpA, l’Università degli Studi di Milano e altri atenei italiani.
Utilizziamo i cookie per offrirti la miglior esperienza possibile sul nostro sito Web. Quando utilizzi il nostro sito Web, accetti che vengano trasmessi cookie sul tuo dispositivo.