di Michele Grillo
1. Mimesis ha pubblicato, nella collana Filosofie, una nuova edizione italiana di Teoria dei Sentimenti Morali di Adam Smith, curata da Riccardo Bonfiglioli e Domenico Felice. Considerando la collocazione del volume nella collana che lo ospita, le competenze di un economista non consentono di andare molto oltre l’attestazione dello scrupoloso lavoro svolto dai curatori nel riportare alla ribalta un contributo importante al dibattito di filosofia morale del XVIII secolo. L’iniziativa editoriale ha però implicazioni rilevanti per l’analisi economica. Il saggio introduttivo di Bonfiglioli, che peraltro beneficia della letteratura che ha fatto seguito alla pubblicazione della Glasgow Edition degli scritti di Adam Smith1, apre infatti a un percorso interpretativo di Teoria dei Sentimenti Morali nel quale si prefigurano elementi che si distaccano da approcci più consueti nella storia del pensiero economico.
Gli economisti hanno guardato spesso a Teoria dei Sentimenti Morali per cogliere le radici della propria disciplina, la cui nascita è convenzionalmente ricondotta a Ricchezza delle Nazioni, che Smith diede alle stampe quindici anni dopo la pubblicazione di Teoria dei Sentimenti Morali. Oggi tuttavia ampia parte degli sviluppi della teoria economica, intercorsi nei duecentocinquanta anni che ci separano da Ricchezza delle Nazioni, sono ritenuti in generale comprensibili e apprezzabili indipendentemente dai raccordi con le radici di filosofia morale che, nella formazione del pensiero di Adam Smith, legano in modo cruciale le due opere.
La nuova edizione di Teoria dei Sentimenti Morali induce a distaccarsi dall’opinione richiamata. In particolare, l’introduzione di Bonfiglioli sollecita l’interprete attento al dibattito di teoria economica degli ultimi decenni del XX secolo a non trascurare il sentiero lungo il quale la riflessione di Adam Smith era stata ancorata a una tenace connessione tra domande fondamentali di filosofia morale e domande di cui iniziava a farsi carico, come economia politica, la nuova disciplina.
2. Quando volge la sua attenzione a Teoria dei Sentimenti Morali, l’economista non può fare a meno di confrontarsi con una questione che intriga chiunque si avventuri nello studio della materia economica: per quali ragioni, mentre l’attività economica ha sempre costituito momento essenziale di ogni esperienza umana associata, l’economia politica si è sviluppata così tardi come disciplina autonoma? Nella storia del pensiero economico, una risposta tradizionale, che ci viene in ampia misura dalla scuola ricardiana, ha collegato la nascita dell’economia politica all’emergere di un modo di produzione capitalistico, caratterizzato, diversamente dai precedenti modi di produzione, dalla destinazione sistematica del sovrappiù alla accumulazione di capitale (Napoleoni 1970). Negli ultimi decenni del XX secolo, la teoria dei giochi ha però aperto la strada a un approccio differente che affronta quella domanda da una prospettiva più astratta, intimamente connessa con il dibattito di filosofia morale e politica dell’epoca moderna. In particolare, come hanno messo in evidenza le riflessioni di Ken Binmore (1994) e di Lorenzo Sacconi (1997), la teoria dei giochi aiuta a interpretare la nascita dell’economia politica alla luce della contrapposizione tra una prospettiva humeana e una prospettiva hobbesiana nella filosofia politica moderna.
Nell’ottica del comportamento razionale in un contesto strategico, è frequente rappresentare il modello ‘hobbesiano’ di stato di natura ricorrendo a un gioco elementare di dilemma del prigioniero. L’individuo che interagisce con altri soggetti identifica una strategia per lui ‘dominante’, dal punto di vista del comportamento razionale, in un atteggiamento ostile nei confronti degli altri individui. Quale il comportamento di qualsiasi altro soggetto, le conseguenze di un comportamento ostile sono infatti sistematicamente associate, per ciascun soggetto, a situazioni sociali per lui preferibili. In questo quadro, evitare che una ‘guerra di tutti contro tutti’ porti, come esito dell’interagire sociale, alla distruzione della società, richiede che ciascun individuo alieni prerogative della propria natura, rinunciando alle proprie passioni e al dominio sul proprio comportamento, per delegarne il controllo a un Leviatano.
La prospettiva ‘humeana’ si contrappone a questa visione ‘hobbesiana’. Elemento essenziale della filosofia morale scozzese è l’idea che relazioni sociali armoniose possano essere compiutamente affidate al dominio di ciascun individuo sul proprio comportamento. A tal fine, i filosofi morali di scuola scozzese fanno leva, in particolare, sulla consapevolezza che le relazioni sociali sono, per ciascun soggetto, una fonte di ‘esperienza’ che, a sua volta, funge ‘sistematicamente’ da guida all’azione. Con il “senno di poi” della teoria dei giochi, la contrapposizione tra visione ‘hobbesiana’ e visione ‘humeana’ è stata ricostruita interpretando le relazioni tra soggetti sociali come ‘ripetizioni’ di un gioco elementare di dilemma del prigioniero. La possibilità di ripetere il gioco permette di evitare la guerra di tutti contro tutti perché pone ciascun soggetto nelle condizioni di lasciarsi guidare razionalmente da una ‘esperienza’ sistematica, consentendogli di condizionare un proprio comportamento non ostile all’osservazione di comportamenti non ostili da parte di altri soggetti sociali.
3. La nascita dell’economia politica come disciplina autonoma trova collocazione in questo quadro. Le relazioni economiche sono istanze tipiche di relazioni sociali con riferimento alle quali è agevole contrapporre il modello scozzese al modello hobbesiano. Nella chiave di razionalità strategica offerta dalla teoria dei giochi, la relazione economica di scambio si caratterizza essa stessa in essenza come un dilemma del prigioniero nel quale ciascun soggetto ha convenienza a non fare la propria parte, qualunque comportamento si attenda dal proprio interlocutore. In una prospettiva ‘hobbesiana’, condizione necessaria per realizzare una relazione economica, fondata sullo scambio, è che essa sia sancita da un ‘contratto’; ossia, che possa avvalersi della protezione di un assetto giuridico la cui ragion d’essere è ricondotta alla necessità di ‘regolare’ i rapporti tra soggetti economici operando come un Leviatano, cui compete di controllare che nessuno devii da comportamenti ai quali si vincola ‘contrattualmente’. Dal punto di vista interpretativo, il ‘contratto’ come condizione necessaria per realizzare lo scambio non rende tuttavia conto di come, nella vita reale, funzionano (almeno in prevalenza) le relazioni economiche. Quando si vuole dare risalto agli elementi che caratterizzano lo scambio economico ‘in quanto’ relazione sociale, la prospettiva ‘humeana’, convenzionalista e anti-contrattualista, mette meglio in luce le ragioni per le quali e le modalità con le quali gli individui si garantiscono vicendevolmente la propria adesione; specificamente, mantenendo pieno dominio sulla razionalità dei propri comportamenti e senza contrastare con prerogative della propria natura, anzi volgendole al meglio, per sé e per gli altri.
La nascita dell’economia politica come disciplina autonoma è in altri termini legata all’interpretazione delle relazioni economiche come istanze di un sistema armonioso di relazioni sociali in grado di garantire la conservazione della convivenza umana associata per ragioni ‘intrinseche’. Più specificamente, a fondamento dell’economia politica ci sta la combinazione di due elementi astratti, entrambi riconducibili al contributo di Adam Smith. Il primo elemento coglie una ragione essenziale della convivenza umana nei benefici che ogni individuo ottiene partecipando a un sistema di lavoro socialmente diviso. Questa è la base su cui è costruita Ricchezza delle Nazioni. Il secondo elemento è individuato nella circostanza che, per realizzare un assetto di lavoro socialmente diviso, è necessario, in premessa, che tutti i soggetti sociali possano fare affidamento sulla capacità di stabilire relazioni di scambio armoniose.
L’autore di Ricchezza delle Nazioni poteva non avvertire la necessità di giustificare esplicitamente tale premessa perché poteva presupporre implicito, per sé e per i lettori, il rinvio alle ragioni, analizzate in dettaglio in Teoria dei Sentimenti Morali, per le quali ‘esperienza’ e ‘immaginazione’ permettono ai soggetti sociali di sviluppare relazioni che fanno leva su un generale sentimento di ‘simpatia’. Così, per un verso, Teoria dei Sentimenti Morali non propone una teoria ‘economica’. Per altro verso, oggetto esplicito di Ricchezza delle Nazioni è un’analisi economica costruita sulla divisione sociale del lavoro. È però possibile assumere la divisione del lavoro come fondamento che regge l’economia politica come disciplina autonoma solo facendo leva su implicazioni essenziali derivate da Teoria dei Sentimenti Morali.
4. Queste implicazioni hanno risvolti non scontati. Per questa ragione, Teoria dei Sentimenti Morali è importante per l’economista. Si consideri, in particolare, che, quando il legame tra Teoria dei Sentimenti Morali e Ricchezza delle Nazioni è ricostruito esplicitamente, resoconti non infrequenti di Ricchezza delle Nazioni risultano frettolosi e inadeguati a dar conto della ricchezza dei fondamenti su cui si regge la stessa analisi ‘economica’ di Adam Smith. Per esempio, molte narrazioni di Ricchezza delle Nazioni giustificano la centralità della divisione del lavoro chiamando in gioco una propensione ‘naturale’ degli uomini alla relazione di scambio. Anche se offre il vantaggio di una scorciatoia analitica, la giustificazione, formulata in modo apodittico, è fuorviante. Lo è, in particolare, proprio perché trascura un elemento essenziale del punto di vista di Adam Smith; che, da filosofo morale, coglieva il fondamento della disponibilità sociale allo scambio non in un dato ‘esogeno’ della natura umana ma – appunto – in una giustificazione morale3.
Sviluppi odierni dell’analisi economica hanno particolarmente messo a fuoco l’importanza di implicazioni analitiche che sarebbero messe in ombra dall’equivoco appena richiamato. In questa prospettiva, la nuova edizione italiana di Teoria dei Sentimenti Morali dà un rilievo vivido alla crucialità delle premesse di filosofia morale che consentono all’autore di Ricchezza delle Nazioni di assumere la divisione sociale del lavoro come nucleo della nuova disciplina economica. In un precedente contributo (Bauckneht e Bonfiglioli 2017: 2) il punto era stato già enunciato sinteticamente affermando che “per Smith, non esiste uno stato di natura astratto”. L’introduzione di Bonfiglioli richiama che Smith rifiuta “la finzione di uno stato di natura iniziale … [e] … [i]n questo senso … esamina la natura umana in termini morali” (Bonfiglioli e Felice 2024: 21). Nel resto di questa nota mi propongo di commentare in dettaglio questa enunciazione e di esplicitarne alcune implicazioni di rilievo, avvalendomi anche dell’approccio analitico messo a disposizione oggi dalla teoria dei giochi.
5. Complessivamente, la nuova edizione italiana di Teoria dei Sentimenti Morali mette in luce, a mio avviso, due elementi essenziali. In questa sezione, mi limito a enunciarli, per illustrarli poi in modo più articolato nella sezione successiva.
Il primo elemento è consolidato nella storia del pensiero economico. Per completezza del quadro, è però opportuno richiamarlo, anche perché esposto spesso con chiavi di lettura differenti. L’argomento sottostante, immediato nell’enunciato di Andrea Bauckneht e Bonfiglioli, sottolinea una incompatibilità logica e una estraneità interpretativa tra l’approccio di scuola ‘scozzese’, che l’economia politica classica ha seguito fin dalle origini per fondare la relazione economica di scambio, e l’approccio intrinsecamente dicotomico con cui il modello hobbesiano dà conto dell’insorgere delle relazioni sociali distinguendo tra uno ‘stato di natura’ e uno ‘stato civile’.
Il secondo elemento è invece molto meno scontato nella letteratura economica, nonostante sia ricostruibile analiticamente come implicazione del primo elemento. Quando, anche al fine di offrirne una prospettiva morale, si rappresentano gli ‘assetti sociali’ che scaturiscono dagli intrecci delle relazioni economiche, ciascuno di tali assetti è ‘intrinsecamente’ caratterizzato, a partire da circostanze date, da una condizione di elevata molteplicità. Oggi, la teoria dei giochi coglie in essenza questo esito mediante una proposizione analitica in base alla quale, per ogni dato insieme di contesti elementari nei quali si riflette un contrasto tra interesse individuale e interesse sociale, la ‘ripetizione’ del gioco fa emergere una molteplicità potenzialmente infinita di esiti sociali compatibili con una proprietà di ‘equilibrio sociale’. Nella prospettiva morale, tale risultato implica che, a ogni insieme di condizioni date, è possibile associare una molteplicità di profili di comportamenti dei diversi soggetti socialmente accettati e, pertanto, fonte di un agire moralmente giustificabile.
6. Con riferimento al primo elemento, la prospettiva ‘humeana’ fa venire radicalmente meno la dicotomia ‘hobbesiana’ tra uno stato di natura (nel quale l’agire dell’uomo è guidato da passioni, identificate come prerogative della ‘natura’ umana) e uno stato civile nel quale la convivenza umana associata richiede, da parte di ciascun individuo, una rinunzia alla propria natura, una conversione, una ‘metanoia’. Ai fini di una teoria della società, la visione dicotomica hobbesiana implica che le istituzioni, politiche ed economiche, devono essere interpretate come costruzioni ‘esogene’ che si sovrappongono, imponendosi, agli individui (e alla loro natura). La prospettiva ‘humeana’ è, al contrario, unitaria e non dicotomica: gli assetti istituzionali mediante i quali gli esseri umani organizzano la vita associata sono prodotti endogeni di comportamenti che gli stessi esseri umani mettono in atto perché si fanno guidare dalla propria natura, non perché sono indotti a rinunciare a essa da una ‘metanoia’.
Con riferimento al secondo elemento, Teoria dei Sentimenti Morali offre diversi spunti, intrinsecamente connessi con la prospettiva di scuola scozzese, che analizzano contesti di interazione sociale dai quali è plausibile attendersi una molteplicità di esiti ‘moralmente’ ammissibili. L’introduzione di Bonfiglioli mette a fuoco questi spunti sotto due aspetti. Il primo fa riferimento alla parte V di Teoria dei Sentimenti Morali, nella quale Adam Smith argomenta che, a influire sui sentimenti di approvazione e disapprovazione morale, non sono solo elementi compiutamente interpretabili dal punto di vista dell’individuo nella sua singolarità – quali il senso del dovere, che Smith tratta nella parte III, o l’utilità, che Smith tratta nella parte IV – ma anche elementi irriducibilmente sociali, come il costume e la moda, che condizionano la maggiore o minore sympathy che una stessa azione riesce a suscitare. In secondo luogo, la prospettiva di una molteplicità di esiti sociali ‘moralmente’ ammissibili, a partire da condizioni date, è intimamente legata al ruolo dell’‘immaginazione’ come facoltà essenziale necessaria a ciascun essere umano per ‘mettersi nei panni dell’altro’, così da rappresentare le sensazioni che egli proverebbe nell’altrui situazione emotiva.
In particolare, Bonfiglioli riconduce l’immaginazione, per Smith, a due aspetti complementari: una immaginazione ‘naturale’, legata alla possibilità di concepire la ‘sensazione’ dell’altro; e una immaginazione ‘morale’ caratterizzata da un elemento inerente di razionalità che non mira a fondare il giudizio ma, piuttosto, a concepire la ‘situazione’ dell’altro, specificamente comprendendone la causa. Questo secondo aspetto apre la via, dal punto di vista logico, a un ricorso all’infinito (giacché concepire la situazione dell’altro non può prescindere dalla capacità di concepire l’altro in quanto soggetto anch’egli capace di immaginazione morale) e stabilisce una connessione immediata con gli sviluppi recenti di teoria della razionalità strategica.
La prospettiva e le implicazioni suggerite dalla riflessione sulla immaginazione in Smith richiamano infatti un risultato basilare di teoria dei giochi. Il cosiddetto Folk Theorem dei giochi non cooperativi afferma che, in tutte le circostanze nelle quali la ripetizione di un gioco consente di sfuggire a un equilibrio inefficiente di un gioco costituente (quale quello associato a un dilemma del prigioniero) facendo emergere (almeno) un equilibro di Nash che domina in senso paretiano l’equilibrio del gioco elementare, allora tutte le situazioni sociali nelle quali i giocatori ottengono ciascuno un payoff maggiore o uguale a quello che ciascuno può garantirsi nel gioco elementare sono tutte, esse stesse, equilibri di Nash del gioco ripetuto. Ogni contesto sociale nel quale l’esperienza come guida all’azione consente di superare il contrasto tra interesse individuale e interesse collettivo è compatibile, pertanto, con una molteplicità di esiti interpretabili come equilibri nel senso di Nash.
Questo risultato analitico ha una immediata implicazione morale legata all’assiomatica della nozione di equilibrio non cooperativo di Nash. Condizione necessaria per l’esistenza di un equilibrio di Nash è la ‘conoscenza comune’ di tale equilibrio da parte di tutti i soggetti agenti coinvolti. La razionalità dell’agire di ciascun individuo deve infatti fondarsi sulla circostanza che ‘tutti sanno che tutti sanno’ …, che il profilo dei comportamenti, prescritti ai diversi soggetti come comportamento ‘razionale’, induce uno specifico esito di equilibrio sociale (Johansen 1982). Ciò stabilisce un collegamento immediato tra l’assioma di conoscenza comune, da parte di tutti i soggetti, della circostanza che uno specifico esito è un equilibrio e il giudizio di accettazione sociale e, di conseguenza, di approvazione morale associato all’adesione, da parte di ciascun soggetto, al comportamento convenuto.
Il risultato analitico enunciato dal Folk Theorem ha però anche una seconda caratteristica rilevante nella prospettiva di analisi economica: la ripetizione di un gioco elementare, caratterizzato da un equilibrio inefficiente (nel senso di Pareto), apre la via, a partire da condizioni date, a un insieme di equilibri sociali che non includono solo situazioni sociali efficienti nel senso di Pareto, ma anche situazioni sociali che restano comunque, in vario modo, inefficienti (la situazione sociale che si ottiene ripetendo l’equilibrio del gioco costituente è essa stessa equilibrio del gioco ripetuto). In una prospettiva morale, non abbiamo perciò ragione di attenderci (alla luce di un’analisi di razionalità) che l’accettazione sociale condivisa di un determinato profilo di comportamenti implichi una proprietà di efficienza nel senso di Pareto dell’esito atteso.
7. Alla luce di quest’ultima considerazione alcune conclusioni del saggio introduttivo di Bonfiglioli destano perplessità. Bonfiglioli richiama, avallandolo ampiamente, un giudizio di Ronald Meek (1971) sulla filosofia della storia che Smith concepirebbe come caratterizzata da una lettura ‘causale’ degli eventi storici e della successione storica delle fasi sociali. In particolare, sfruttando l’evoluzione nella storia di forme mutevoli di occupazione (la caccia, la pastorizia, l’agricoltura e il commercio) si offre una interpretazione in base alla quale l’essere umano non può che diventare sempre più morale ‘in quanto’ diventa storicamente sempre più interconnesso con gli altri. Le considerazioni svolte in questa nota, in merito a una lettura di Teoria dei Sentimenti Morali che (alla luce della teoria della razionalità strategica) ammette una molteplicità di esiti associati a uno specifico contesto, contrastano a mio avviso con una interpretazione ‘causale’ degli eventi storici, attraverso una loro successione direttamente rappresentabile attraverso un progredire monotono. Emerge, piuttosto, la necessità di dare conto degli equilibri sociali, e delle caratteristiche morali associate, in termini di una inferenza reciproca, cioè di un ‘sistema’ nel quale determinati atteggiamenti morali favoriscono determinati esiti del contesto che, a loro volta, agevolano quegli stessi atteggiamenti morali.
Si pongono, in particolare, a favore di un’interpretazione ‘sistematica’ piuttosto che a favore di un’interpretazione ‘causale’ le riflessioni sulla “concezione smithiana del selvaggio”. Il tema, richiamato brevemente nell’introduzione, è sviluppato più diffusamente in Bauckneht e Bonfiglioli (2017) combinando la lettura della parte V di Teoria dei Sentimenti Morali con l’analisi sul carattere della virtù individuale dell’autocontrollo svolta nella successiva parte VI, con l’obiettivo di mettere in evidenza come il giudizio morale è legato al modo in cui gli esseri umani esprimono le proprie emozioni sulla base di una determinata relazione con se stessi in un contesto storico dato.
L’argomento sullo stato morale del selvaggio ha implicazioni particolarmente rilevanti dal punto di vista dell’analisi economica, giacché fa leva sulla circostanza che, per il selvaggio, l’insufficienza di risorse materiali è condizione di una condotta morale cui non è estranea la dissimulazione; la quale però, a sua volta, ostacola la fiducia reciproca necessaria al pieno sviluppo di un sentimento sociale di simpatia. Con il senno di poi della teoria dei giochi, il ‘sistema’ identifica condizioni dalle quali emerge un equilibrio sociale che, per un verso, è associato a un determinato profilo di comportamenti socialmente accettati e moralmente giustificati ma che, per altro verso, è decisamente caratterizzato, nella prospettiva economica, da una condizione che implica il mantenimento dell’inefficienza delle risorse materiali e, perciò, di una inefficienza nel senso di Pareto.
In conclusione, e più in generale, l’intreccio tra le premesse di filosofia morale sviluppate in Teoria dei Sentimenti Morali e l’analisi economica che coglie la fonte della Ricchezza delle Nazioni nella divisione sociale del lavoro suggerisce di rappresentare l’affermarsi di un sistema di relazioni di ‘mercato’ in Adam Smith non come l’esito determinato in modo univoco da una successione ‘causale’ di eventi storici, ma solamente come ‘un’ esito – tra una molteplicità di esiti possibili e che per tale ragione non può essere pensato come definitivamente consolidato – nel quale la maggiore ricchezza resa possibile dalla divisione sociale del lavoro deve essere interpretata ‘sistematicamente’ sia come ‘motore’ sia, al contempo, come ‘effetto’ di un sentimento sociale di simpatia sul quale si regge l’assetto delle relazioni economiche di scambio.
Bauckneht A. e R. Bonfiglioli (2017). “La concezione smithiana del selvaggio. Un’indagine tra filosofia della storia e teoria morale”, Philosophy, 15 (1): 1-8.
Binmore K. (1994). Game Theory and the Social Contract, volume 1, Playing Fair, Cambridge (MA), The MIT Press.
Johansen L. (1982). “On the Status of the Nash Type of Noncooperative Equilibrium in Economic Theory”, Scandinavian Journal of Economics, 84: 421-441.
Meek R. (1971). “Smith, Turgot and the Four Stages Theory”, History of Political Economy, 3 (1): 9-27.
Montes L. (2003). “Das Adam Smith Problem: Its Origins, the Stages of the Current Debate, and One Implication for Our Understanding of Sympathy”, Journal of the History of Economic Thought, 25: 63-90.
Napoleoni C. (1970). Smith, Ricardo, Marx. Considerazioni sulla storia del pensiero economico, Torino, Bollati Boringhieri.
Sacconi L. (1997). Economia Etica Organizzazione, Roma-Bari, Laterza.
Wilson D. e W. Dixon (2006). “Das Adam Smith Problem”, Journal of Critical Realism, 5 (2): 251-272.
Note
1. The Glasgow Edition of the Works and Correspondence of Adam Smith, Oxford University Press, 1975-1987.
2. Merita rilievo, in questo quadro, la preoccupazione, nel dibattito di storia del pensiero, nei confronti di un Adam Smith Problem (Montes 2003) che, più che una connessione, segnalerebbe una dicotomia, tra il self-interest – cui si ispira, secondo una celebre citazione da Ricchezza delle Nazioni, l’agire economico del birraio e del macellaio – e il principio di sympathy indagato in Teoria dei Sentimenti Morali. Anche chi ritiene il problema infondato, o in ogni caso mal posto, assume che non è agevole cogliere un punto di vista condiviso di come il self-interest, quale principio organizzativo del comportamento economico, si combini con la preoccupazione morale di Adam Smith (Wilson e Dixon 2006). È motivo ispiratore di questa nota il convincimento che spunti interpretativi offerti dalla nuova edizione italiana di Teoria dei Sentimenti Morali possano essere di aiuto, quando letti in una prospettiva di razionalità strategica (teoria dei giochi), per superare questa difficoltà.
3. Più specificamente, nel primo libro di Ricchezza delle Nazioni (edizione UTET 2010: 92), Smith interpreta la disponibilità allo scambio in chiave razionale e sociale, ritenendo “più probabile [che] essa […] sia conseguenza necessaria delle facoltà della ragione e della parola”. Il testo di Ricchezza delle Nazioni preclude così che sympathy possa essere ricondotta a una forma di benevolenza e sottrae al contempo fondamento a un dilemma tra socialità ed egoismo (in ultima analisi, all’Adam Smith Problem) con argomenti non lontani da quelli oggi utilizzati dalla teoria dei giochi
Professore di economia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è autore di saggi in materia di economia industriale, concorrenza, diritto ed economia antitrust. Tra le sue recenti pubblicazioni, il saggio Market competition, efficiency and economic liberty, International Review of Economics, volume 70 n. 4, pp. 437-456, 2023
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